Anche io, come tanti altri esperti del settore food, sottolineiamo frequentemente che le abitudini dei consumatori, soprattutto dopo la pandemia, si sono modificate in modo significativo soprattutto nei termini salutistici ed ambientali. Questa crescente consapevolezza riguardo alla salute e al benessere, unita alla diffusione capillare di informazioni (e disinformazioni) attraverso i social media, ha portato a una vera e propria corsa verso tutto ciò che viene etichettato come “sano”. Influencer, opinionisti e celebrità, vantano i benefici miracolosi di diete e alimenti particolari, creando una domanda sempre maggiore verso prodotti che spesso sono molto lontani dalle tradizioni alimentari locali. Di conseguenza, o forse a causa di tutto ciò, negli ultimi anni il settore alimentare ha risposto a questa esigenza studiando e vendendo una vasta gamma di prodotti etichettati come salutistici. Questi alimenti, pubblicizzati come panacea per il benessere fisico e mentale, hanno conquistato scaffali di supermercati, menu di ristoranti e, soprattutto, le menti dei consumatori.
Cibo vegetale: sano sì, ma a che prezzo?
E fin qui, tutto bene, se non che gli stessi consumatori ad un certo punto stanno iniziando ad accorgersi che non è così semplice mangiare sano e godersi per esempio un’insalata: tra cavolo riccio, semi di chia e bacche di goji, sembra di preparare una pozione magica piuttosto che un pasto. Così l’insalata come il pomodoro, indiscussi protagonisti della tavola mediterranea sana, nutriente ed economica, si sono trasformati in un mezzo incubo anche per i più entusiasmati seguaci delle diete a base vegetale. E che dire dagli “aspetti green” di questo contorno che se preparato con tutte le raccomandazioni dei guru della sana alimentazione, risulta tutt’altro che sostenibile con i suoi ingredienti che provengono da ogni parte del mondo.
Lo stesso dicasi, come esempio anche per le salsicce, le polpette e similari di origine vegetale. La produzione di questi alimenti non inizia in un orto biologico, ma in stabilimenti industriali, dove proteine isolate, oli vegetali raffinati e una serie di additivi vengono combinati per creare un prodotto che somigli alla carne, ma ovviamente non lo è. La materia prima viene spesso importata da vari angoli del mondo: soia dal Sud America, olio di palma dal Sud-Est asiatico, additivi dagli Stati Uniti: ogni ingrediente subisce numerosi processi di trasformazione che lo rendono irriconoscibile rispetto alla sua forma naturale, il che non solo comporta un elevato consumo di energia e risorse, ma solleva anche seri dubbi sulla sostenibilità di tali pratiche.
Superfood o bufala? Il lato oscuro del marketing vegetale
Parallelamente alla produzione di queste tipologie di prodotti, viene costruita una sofisticata strategia di marketing e comunicazione con budget che spesso superano le risorse investite per le ricerche e gli studi dedicati al prodotto stesso. Le aziende investono importanti somme in campagne pubblicitarie che sfruttano ogni canale disponibile con un messaggio unidirezionale: “Mangia questo e sarai più sano, più felice, più in forma”, una specie di elisir di lunga vita. Queste campagne spesso sfiorano i confini delle fake news creando un circuito di mezze verità: le proprietà benefiche degli alimenti vengono esagerate, mentre gli aspetti negativi, come il loro elevato grado di lavorazione e l’impatto ambientale, vengono abilmente omessi. Un esempio classico è l'avocado: venduto quasi come “super food” ricco di nutrienti, ma la cui produzione su larga scala è associata a deforestazione e sfruttamento idrico in paesi già colpiti da scarsità d’acqua.
Come anche il cibo biologico che spesso troviamo celebrato come il plus ultra della salute e della sostenibilità e che troviamo sugli scaffali dei supermercati con etichette verde-rustico che evocano immagini di campi incontaminati e pratiche agricole “come una volta”, non significa sempre che la sua produzione sia così benefica come ci viene fatto credere. Tra idealismo e realtà, bisogna ammettere che l'agricoltura biologica (organica) si basa su principi nobili: evitare l'uso di pesticidi e fertilizzanti chimici, promuovere la biodiversità, sostenere pratiche agricole che rispettino il suolo e l'ecosistema. Tuttavia, la realtà della produzione biologica su larga scala, soprattutto in certe aree del pianeta, può essere ben diversa da questa immagine idilliaca. Per soddisfare la crescente domanda di prodotti biologici, molti agricoltori sono costretti ad adottare metodi di produzione intensiva.
Cibo sano e rispetto per l'ambiente: un connubio non sempre reale
È lecito quindi chiederci: siamo sicuri che le fragole biologiche cresciute fuori stagione in serra siano davvero così ecologiche e cosa succede quando tutti vogliono avocado, e solo avocado, a colazione? Forse i coltivatori di avocado in Sud America hanno qualcosa da dire su questo. Ecco perché penso che sia di vitale importanza promuovere abitudini alimentari sane e nello stesso tempo essere sinceri, leali e consapevoli delle contraddizioni e delle implicazioni ambientali di queste tendenze. Un ritorno alla semplicità e alla sostenibilità, piuttosto che seguire ciecamente le mode, potrebbe essere la vera chiave per un'alimentazione sana e sostenibile.
Sono convinto quindi che gli operatori food industry e food service devono prima di tutto rafforzare la collaborazione con agricoltori locali e promuovere la produzione a chilometro zero. In questo modo non solo si ridurrebbe l’impatto ambientale legato ai trasporti, ma si rafforzeranno significatamene anche le economie locali e costruendo nello stesso tempo la fiducia dei consumatori. In altre parole, promuovere e supportare concretamente lo sviluppo di pratiche agricole e la presenza di una nuova generazione di agricoltori.
Resistere alla tentazione di espandere la produzione a scapito della qualità, soprattutto in tempi difficili e mercati complicati, è il vero punto di forza e resilienza del vasto mondo dell’industria alimentare. Pensare a lungo termine, avere una visione ampia e profonda, costruire e preservare la reputazione aziendale e gli investimenti nell’innovazione, saranno le azioni premianti per tutti coloro che lavorano nella filiera agroalimentare e hanno a cuore un mondo più sano e sostenibile, dove il cibo è un mezzo per nutrire il corpo, la mente e l’ambiente. Sicuro e alla portata di tutti.
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