La parola sostenibilità deriva dal latino sustinere, che significa sostenere, difendere, favorire, conservare e prendersi cura. La storia della sostenibilità, intesa in chiave moderna, nasce a partire dagli anni ’60 e ’70 con i primi movimenti ambientalisti che, cavalcando l’onda rivoluzionaria del ’68, iniziarono a far sentire la propria voce, diffondendo così una prima conoscenza comune della crisi dello sviluppo come crescita.
Negli anni seguenti, anche l’ONU iniziò ad intervenire direttamente sul tema. Nel 1973 venne istituito l’UNEP, il Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente, che opera contro i cambiamenti climatici e a favore della tutela dell’ambiente e dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali. La crisi petrolifera internazionale del 1973 attirò ulteriormente l’attenzione dell’opinione pubblica, mostrando la reale pragmaticità della crisi ambientale e la sua forte interdipendenza con le crisi socio-economiche.
La parola “sostenibilità” ha cominciato a essere usata con il significato di sostenibilità umana sul pianeta Terra a partire dagli anni ’80, dando origine a Stoccolma alla definizione più celebre di sostenibilità, quella del rapporto Our Common Future, noto anche come rapporto Brundtland, della Commissione mondiale per l’Ambiente e lo Sviluppo delle Nazioni Unite del 20 marzo 1987, che la considerava come parte costitutiva del concetto di sviluppo sostenibile.
Nel 1992, alla Conferenza di Rio de Janeiro sull’ambiente e lo sviluppo, detta anche il Summit della Terra, i capi di Stato mondiali si sono riuniti affrontando per la prima volta a livello globale le emergenti problematiche ambientali. In questa occasione, il concetto di sviluppo sostenibile è stato consolidato come “uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri“. La conferenza ha dato anche vita all’Agenda 21, un rapporto che ha stabilito l’importanza dell’impegno di tutti i paesi nella soluzione dei problemi socio-ambientali.
Il nuovo millennio si apre con una grande speranza che porta le Nazioni Unite a delineare nel Summit del millennio gli 8 obiettivi di sviluppo del millennio (MDG), che successivamente si evolveranno nei 17 obiettivi di sviluppo sostenibile nell’anno chiave per la tanto attesa quanto necessaria rivoluzione della sostenibilità: il 2015 caratterizzato da tre momenti fondamentali con l’Accordo di Parigi, l’enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco e la stesura dell’Agenda 2030 con i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile.
La filosofia della sostenibilità si fonda sull’evidenza che “vi è un chiaro legame tra la protezione della Natura e l’edificazione di un ordine sociale giusto ed equo. Non vi può essere un rinnovamento del nostro rapporto con la Natura senza un rinnovamento dell’umanità stessa“, come affermato da Papa Francesco nella famosa enciclica Laudato Si’. Sul piano pragmatico, la teoria dello sviluppo sostenibile segue le ricette indicate dall’Agenda 2030 e dalla Cop 21 di Parigi. I 17 obiettivi di sviluppo sostenibile definiti e approvati da oltre 190 paesi nell’assemblea generale delle Nazioni Unite si pongono come linee guida al livello nazionale e internazionale per il perseguimento di un nuovo modello di società basato sull’idea delle “Cinque P”: Persone, Pianeta, Prosperità, Pace, Partnership.
Focalizzata principalmente sul grande tema ambientale è invece la risoluzione a cui è giunta la Cop di Parigi del 2015, con la quale si definisce un quadro globale per limitare il riscaldamento globale ben al di sotto dei 2°C e, proseguendo con gli sforzi, per limitarlo a 1,5°C per evitare pericolosi e irreversibili cambiamenti climatici e tutti i fenomeni che ne potrebbero scaturire. La fotografia dei grandi passi avanti fatti negli ultimi decenni è evidente se confrontiamo l’accordo di Parigi con il Protocollo di Kyoto. Infatti, per l’effettiva entrata in vigore delle risoluzioni internazionali è stata necessaria la ratifica dei trattati a livello nazionale. Nel caso della Cop parigina, la ratifica ha dovuto aspettare meno di un anno per superare la soglia dei 55 stati, mentre per gli accordi di Kyoto si è dovuto aspettare ben 8 anni.
Oggi, infatti, tutti i Paesi sono chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero sostenibile. L’Agenda ha inoltre messo nero su bianco l’insostenibilità dell’attuale modello di crescita, non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale, riuscendo in questo modo a superare definitivamente l’idea che la sostenibilità sia unicamente un tema ambientalista. La realizzazione dell’Agenda, infatti, richiede un forte coinvolgimento di tutti e una collaborazione costruttiva tra tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alla politica, fino ai singoli cittadini.
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